Nel decreto legislativo del 15 Luglio 2015, la chiave di lettura della riforma denominata Jobs Act:
“Il contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato costituisce la forma comune di rapporto di lavoro”.
Enunciato quasi come fosse un manifesto programmatico della riforma, l’obiettivo posto dal Jobs Act è quello di rendere più attrattivo il rapporto di lavoro a tempo indeterminato, introducendo delle novità significative.
Prima fra tutte, l’incentivo economico, in forma di un consistente sgravio contributivo triennale previsto dalla Legge di stabilità 2015 (L. 190/14).
Inoltre l’aspetto normativo assume rilevanza, con l’introduzione del contratto a tutele crescenti che ha ridefinito il regime sanzionatorio per i licenziamenti illegittimi, segnando forte discontinuità con il passato.
Quali le differenze?
Per tutti gli assunti dal 07 marzo 2015, in caso di licenziamento illegittimo, è ora previsto di norma l’indennizzo economico, pari a 2 mensilità per ogni anno di prestazione lavorativa.
La reintegrazione è limitata a casi di licenziamenti orali, discriminatori o nulli caratterizzati dalla insussistenza del fatto materiale, direttamente dimostrato in giudizio.
In sintesi la sproporzione del licenziamento rispetto alla mancanza commessa può sempre portare all’illegittimità del recesso, ma non alla sanzione reintegratoria, formula tra l’altro applicata già da tempo negli altri Paesi Europei.
Il rimedio indennizzatorio è pertanto ritenuto pacificamente conforme al principio costituzionale ed alle normative internazionali.
La normativa precedente, che prevedeva la discrezionalità del giudice nella determinazione dell’ammontare dell’indennizzo, continua ad applicarsi agli assunti prima del 07 marzo 2015; per gli assunti dopo tale data, la misura dell’indennizzo è certa, pari a due mensilità di retribuzione per ogni anno di servizio, con un minimo di 4 ad un massimo di 24 mensilità (6 massimo per i datori di lavoro fino a 15 dipendenti con indennizzo annuo dimezzato).
Inoltre sono stati introdotti il principio di flessibilità e semplificazione rispetto la definizione delle mansioni; è concesso di mutare unilateralmente, senza necessità di accordi sindacali, la mansione del dipendente, purché rispetti il livello di inquadramento contrattuale e la categoria legale di appartenenza (dirigente, quadro, impiegato, operaio). Il giudice pertanto dovrà esclusivamente limitarsi ad una verifica del mantenimento di quanto sopra.
La novità maggiore riguarda però la facoltà del datore di modificare unilateralmente la mansione del lavoratore a livello inferiore, purché rientrante sempre nella medesima categoria legale.
Sempre in ambito di semplificazione, la modifica dell’art. 4 dello Statuto che disciplina i controlli sull’attività lavorativa; le informazioni raccolte potranno essere utilizzate a fini disciplinari purché sia data adeguata informativa ai lavoratori e rispettati i principi sulla normativa sulla privacy.
Dal 25 giugno 2015 non esiste più il contratto a progetto.
Fatta esclusione per i casi tassativamente enunciati nel decreto (es. accordi sindacali specifici di settore, professionisti iscritti ad albo, amministratori e sindaci, società sportive), tutti gli altri casi saranno riconducibili al lavoro subordinato, a decorrere dal 01 gennaio 2016.
A partire dalla medesima data è previsto un “condono” se il lavoratore assunto sottoscrive un atto di conciliazione sulle pretese pregresse. Il datore di lavoro non può recedere il contratto prima di 12 mesi.