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LICENZIAMENTO: LA SCELTA DEL RITO FORNERO NON E’ RINUNCIABILE.

Pubblicato da in JOBS ACT ·

 
Nelle controversie aventi ad oggetto l'impugnativa dei licenziamenti nelle ipotesi regolate dall'articolo 18 della legge 20 maggio 1970, n. 300 e s.m.i., la domanda si propone con ricorso al Tribunale in funzione di giudice del lavoro.

 
 
Il ricorso deve avere i requisiti di cui all'articolo 125 del codice di procedura civile e, con il ricorso, non possono essere proposte domande diverse da quelle aventi ad oggetto l'impugnativa di licenziamento.

 
 
A seguito della presentazione del ricorso, il Giudice fissa con decreto l'udienza di comparizione delle parti, non oltre quaranta giorni dal deposito del ricorso.

 
Ricorso e decreto devono essere notificati almeno venticinque giorni prima dell'udienza, mentre il resistente deve costituirsi almeno cinque giorni prima della stessa udienza.

 
 
Il giudice, sentite le parti e omessa ogni formalità non essenziale al contraddittorio, all'esito dell'istruttoria provvede con ordinanza immediatamente esecutiva, all'accoglimento o al rigetto della domanda.

 
 
Contro l'ordinanza di accoglimento o di rigetto può essere proposta opposizione con ricorso contenente i requisiti di cui all'articolo 414 del codice di procedura civile, da depositare innanzi al Tribunale che ha emesso il provvedimento opposto, a pena di decadenza, entro trenta giorni dalla notificazione dello stesso, o dalla comunicazione, se anteriore.

 
 
Questo, in sintesi, è il procedimento speciale delineato dall'art. 1, commi 47 - 68, legge 28/06/2012 n. 92, cd. Legge Fornero, di recente oggetto di modifiche a seguito dell'entrata in vigore dei D.Lgs. 4/03/2015, n. 22 e n. 23, di riforma del mercato del lavoro (Jobs Act).
 
 
A tal proposito, ci si è chiesti se l'attivazione dell’anzidetto procedimento speciale, potesse rientrare in una libera scelta del lavoratore ovvero se questi potesse rinunciare al rito speciale.

 
 
La Cassazione, IV sezione lavoro, con la sentenza n. 23073, del 11 novembre 2015, così come osservato dalla dottrina formatasi sul punto, premette che "il rito speciale previsto dalle norme citate non costituisce uno strumento finalizzato alla tutela delle ragioni del dipendente - con la possibilità che questo scelga il rito da seguire - bensì una tecnica di tutela volta ad abbreviare i tempi necessari per ottenere una decisione definitiva ogni qual volta la domanda abbia ad oggetto l'impugnativa di un licenziamento ascrivibile ad una delle ipotesi regolate dall'art. 18 citato".

 
 
Ne discende che: "il lavoratore licenziato non può rinunciare al procedimento speciale, perché la specialità non è prevista nel suo esclusivo interesse".

 
 
Ciò risponde alla sua finalità, che è quella di "accelerare le relative controversie" e di ridurre i "costi indiretti" derivanti dalla durata del processo.

 
 
Pertanto, in considerazione anche delle finalità pubblicistiche della norma, il lavoratore licenziato non può rinunciare a siffatto procedimento speciale, specificamente previsto per tale tipologia di licenziamento (art. 18 L. 300/70).

 
 
Ci si è chiesto vieppiù a chi spettasse l'individuazione del rito applicabile, se fosse onere del ricorrente il quale avrebbe dovuto, conseguentemente, indicarne i presupposti applicativi.

 
 
Anche in questo caso, la Suprema Corte, nella sentenza in commento, risponde negativamente, sostenendo come: "l'individuazione dei presupposti per l'applicabilità del rito previsto dall'art. 1, comma 47 e seguenti L. cit. rientra nei poteri - doveri del giudice, al quale compete in via preliminare verificare la compatibilità della domanda con il tipo di rito e di tutela prescelta".

 
In realtà, l'obbligatorietà del rito vista sopra, presuppone che sia la stessa autorità giudiziaria, in relazione all'oggetto della domanda, a determinare la procedura applicabile al caso di specie.

 
 
Tanto è vero che: "dall'obbligatorietà del rito scaturisce, come logica conseguenza, l'attribuzione, in via esclusiva, all'autorità giudiziaria, secondo il principio iura novit curia, del potere di qualificare la domanda in base al petitum sostanziale e di individuare così il rito concretamente applicabile. Ulteriore conseguenza è che, ai fini dell'adozione del rito speciale, il ricorrente non ha l'onere della specifica allegazione della sussistenza del requisito dimensionale, ove si consideri per un verso che il ricorso, per la natura sommaria della prima fase, non soggiace al rigore assertivo e istruttorio previsto per la (eventuale) fase successiva di opposizione, come si evince dal richiamo per la sua redazione al solo art. 125 c.p.c., e per altro verso che l'allegazione può essere desunta dal tipo di tutela richiesto, salva la necessità della prova del requisito dimensionale anche in ragione della condotta processuale dell'altra parte".

 
 
Pertanto, in relazione alla tutela concretamente richiesta in ricorso e a quella effettivamente riconosciutagli dal giudice: "deve osservarsi che il nuovo testo dall'art. 18, come riformato dalla legge n. 92/2012, nel prevedere una gradualità di tutele collegate al tipo di licenziamento accertato, attribuisce al giudice il potere-dovere di qualificare i fatti allegati in ricorso e di ricondurli alle ipotesi ivi previste, anche ai fini di determinare il regime sanzionatorio applicabile. Si tratta peraltro di un principio più volte affermato da questa Corte, secondo cui, poiché la giusta causa ed il giustificato motivo soggettivo di licenziamento costituiscono mere qualificazioni giuridiche, devolute al giudice, dei fatti che il datore di lavoro ha posto a base del recesso, la domanda avente ad oggetto la dichiarazione di illegittimità del licenziamento per sussistenza o insussistenza della giusta causa comprende la minor domanda relativa alla declaratoria di illegittimità del licenziamento per giustificato motivo soggettivo, ed abilita il giudice a pronunciarsi in tal senso anche in mancanza di espressa richiesta della parte, senza che vi sia lesione dell'art. 112 cod. proc. civ. (Cass., 17 gennaio 2008, n. 837).

 
 
Ne consegue che, nelle più ampie pretese connesse all'annullamento del licenziamento e consistenti nella tutela reintegratoria piena, ovvero nella richiesta di reintegrazione e risarcimento del danno commisurato a tutte le retribuzioni maturate dal giorno del licenziamento a quello dell'effettiva reintegrazione, deve ritenersi compresa anche quella attenuata, come quella prevista dal 4° comma dell'art. 1 L. cit. derivante da un licenziamento per giusta causa o giustificato motivo soggettivo di cui sia accertata l'insussistenza del fatto, per il principio secondo cui una pretesa più ampia contiene in sé una pretesa di minore portata, sempre che i fatti allegati con la domanda rimangano immutati (Cass., 19 dicembre 2006, n. 27104; Cass. 19 febbraio 2015, n. 3320)".

 
 
Pertanto, quando la domanda ha ad oggetto l'impugnativa di un licenziamento rientrante nelle ipotesi di cui all'art. 18 della l. n. 300 del 1970, l'individuazione dei presupposti per l'applicabilità del rito sono devoluti al giudice investito della questione e il lavoratore licenziato non ha alcuna possibilità di rinunciare al rito speciale disciplinato dalla legge Fornero.
 



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